sabato 2 gennaio 2010

Il fatto numero tre


Non sono io che posso emettere sentenze su fatti che hanno implicazioni giudiziali, che vanno accertati tramite strumenti e procedimenti giuridici.
Nè altri se non l'istituzione giudiziaria presa come ente impersonale che esiste apposta per fare questo mestiere.
Tocca al cittadino, però, l'obbligo della riflessione.
Non voglio apparire facilmente affascinato da complotti romanzeschi che intrecciano trame appassionanti in una realtà poco nitida che sfuma nel verosimile di tante verità possibili.

Colleziono però nella mia mente pochi fatti.

Intorno a questi fatti vorrei come cittadino che non ci fosse il minimo dubbio, che venisse opportunamente eliminata quella pluralità di scenari verosimili per mettere in pace le fantasie e le coscienze di tutti.

Innanzi tutto mi ha stupito molto in un primo momento il fatto che l'unico testimone veramente "chiave", come si usa dire, dell'affaire Spatuzza abbia deciso di non rispondere alle domande.

Avevo in testa una visione probabilmente romenzesca del capo mafia e mi aspettavo da un cosidetto Boss come Giuseppe Graviano, non un collaboratore di giustizia peraltro, che a muso duro negasse con aria perfino un po' spaccona i fatti di cui i giudici gli avrebbero chiesto notizia e che appassionavano tutta la nazione.

Non mi aspettavo che accuse eclatanti ai vertici dell'esecutivo italiano trovassero clamorosa conferma in TV.
E in fede spero che siano tutte bubbole (una cosa è quel che spero e un'altra quel che temo).

Al contrario ero preparato a un boss che sghignazzando definisse tutta la storia un cumulo di solenni "minchiate".

Invece - fatto n.1 - una voce dalla televisione sosteneva che il regime di carcere duro aveva causato uno stato di salute precario che non permetteva al proprietario della voce di dare risposte.

E il magistrato a tagliar corto: si assicurava che il teste si avvalesse della facoltà di no rispondere.

Proprio così rispondeva la voce aggiungendo con aria di agnello che al miglioramento delle condizioni sarebbe seguita risposta agli interrogativi come era suo "dovere".

Sono rimasto stupito.

Come di fronte a un'inattesa sceneggiata anche perchè rispondere non mi risulta che fosse suo dovere se no la facoltà di non rispondere non sarebbe esistita.

Ci hanno pensato numerose voci a commento del fatto a proporre motivazioni verosimili a quanto accaduto.

Molto affascinanti quelle che spiegavano la condotta del teste come un tentativo di compromesso, di clamoroso inciucione in diretta TV.

Io nella mia puerile ingenuità avevo creduto che si attendesse un miglioramento delle condizioni di salute.. Domandandomi quali gravi disturbi avesse quell'uomo.

In realtà le condizioni a cui si accennava sarebbero state quelle del carcere duro, mi hanno spiegato i giornali.

Poteva essere quindi un tentativo di ricatto giudiziario o addirittura politico.

Pazzesco!

Ieri trovo - fatto n.2 - che in effetti la situazione carceraria di questo signore quanto meno turbolento è stata notevolmente alleviata.

Sembra proprio una risposta a quella velata richiesta, suggerirebbero le voci che si sono fatte interpreti del verosimile.

In realtà mi informo un po' e un cavillo, una ragione tecnica esiste per il provvedimento.

Io non sono un tecnico del ramo e mi faccio persuaso.

Un tarlo però ormai mi rode.

Se da un lato sono sicuro che tutta questa colorita vicenda non avrà effetti rilevanti sul processo Dell'Utri non sono affatto sicuro che un tentativo di "dialogo" non sia esistito e una partita a scacchi non si stia giocando.

Mi suggestiona l'idea che il carcere duro sia stato sempre oggetto di grande protesta tra i mafiosi in tanti modi, perfino allo stadio oltre che nel famoso "papello" di Riina.

Che la sua rimozione o il suo addolcimento fossero considerati dalla mafia come possibile merce di scambio (ma chi farebbe scambi con la mafia?).

Signori se quello che ho chiamato "dialogo" ci fosse mai stato e perfino sotto gli occhi di tutti allora sarebbe curioso scoprire cosa ci dirà o ci direbbe oggi quel teste.

Mi spiego, tuffandomi dai fatti alle ipotesi verosimili.

Se lo scambio fosse mai esistito ora il teste parlerebbe e darebbe una versione dei fatti, tutta da interpretare, più o meno favorevole agli interlocutori di quel "dialogo" a seconda del suo grado di soddisfazione.

Il che significa sicuramente un'altra cosa: se "dialogo" ci fosse mai stato vorrebbe dire che qualcuno avrebbe avuto paura delle parole di un mafioso e ragioni per intavolare quella"trattativa".

Qui mi fermo col verosimile perchè non è mio mestiere continuare: non sono un magistrato nè -ahimè- uno scrittore di romanzi.

Rimango un cittadino, un cittadino con un tarlo.

Mi domando allora se come cittadino non debba io pretendere una magistratura libera, forte e capace che mi liberi dalla pluralità delle verità probabili.

Una magistratura che possa e che abbia persino il dovere di ficcare il naso in potenziali rapporti tra poteri e criminalità per un solo motivo: tutelare chi il potere di amministrare lo esercita e chi come me questo esercizio ha concesso col voto.

Solo la più minuziosa e pignola attività investigativa può convincermi in fondo di quello che spero: che la mia nazione sia governata da gente che può - del tutto lecitamente, è ovvio - difendere gli interessi di qualunque porzione della società che legittimamente rappresenta ma che abbia una moralità specchiata di fronte alle regole, alle leggi, al mandato fiduciario che la rappresentazione comporta.

Questo tranquillizzerebbe me e tutelerebbe quella gente dal tarlo del dubbio.

E in presenza di un qualsiasi dubbio mi piace pensare che sia il mandante che il mandatario della rappresentazione politica dovrebbero pretendere chiarezza insieme.

Un amministratore onesto pretende di farsi indagare e investigare, non tenta di sottrarsi al giudizio.

E questo è il fatto n.3 che rende il mio tarlo imbarazzante.

Stay tuned!